Intervista a Mariella Palazzolo, Fondatrice e Partner, Telos A&S

Lobbista ed esperta di Public Affairs da oltre 25 anni, nel 2008 Mariella fonda Telos Analisi & Strategie, studio professionale indipendente che si occupa esclusivamente di lobbying e analisi politica. Giornalista pubblicista, Mariella è anche tra i fondatori di FIPRA, il più grande network globale di Public Affairs, ed è direttore di FIPRA Italy.

In una frase, come definiresti i Public Affairs per chi non li conosce?

L’attività di Public Affairs, anche se continuo a preferire il termine lobbying, trova la sua perfetta traduzione nell’espressione rappresentanza di interessi particolari presso le Istituzioni di qualsiasi livello, dal Comune all’Unione Europea. Con un caveat però: gli interessi particolari, oltre ad essere principalmente quelli di imprese, ma non solo, per potere avere una qualsivoglia valenza per le Istituzioni devono riguardare la loro attività normativa e legislativa. Solo così la nostra professione ha un significato concreto e solo così si comprende il termine decisore pubblico.

Come hai cominciato la tua carriera in Public Affairs?

La mia carriera affonda in un lontanissimo passato, quando dopo una vera e propria crisi di identità professionale mi iscrissi ad un Master in Comunicazione e Relazioni Pubbliche. La noia era il leit motiv di tutte le lezioni, tranne un modulo, brevissimo e quasi informativo in ‘Relazioni Istituzionali’. Sì, era questo il termine usato nei primi anni ’90 in Italia per l’attività di lobbying. Beh, i pochi neuroni che erano rimasti svegli si ringalluzzirono immediatamente e, forse anche a causa del mio interesse nella politica, e non solo quella italiana, furono le uniche lezioni che ricordo ancora. Ho cominciato con un tirocinio in FB Comunicazione, e Fabio Bistoncini, il docente del tempo, è ancora un mio caro amico e stimato collega.  In realtà il tirocinio durò solo un mese e poi iniziai a lavorare a tutti gli effetti.

 

Pensando al tuo percorso di studi, cosa ritieni sia stato più utile per la tua formazione?

L’argomento della mia formazione è un punto dolente. Il mio percorso è completamente caratterizzato da studi umanistici, dalla laurea in poi. Non sono quindi un esempio molto edificante. Ma la forma mentis dello studio, analisi, ricerca delle fonti, capacità di argomentazione, sono il frutto di una formazione da filologa, da storica dell’arte e da esperta in arti decorative, le mie tre specializzazioni universitarie, conseguite sia in Italia che all’estero. A questo aggiungerei la padronanza delle lingue straniere, soprattutto l’inglese. Questo mi ha permesso di lavorare, in questo settore, anche all’estero.

Qual è la cosa che ami di più di questa professione? E quella che ti piace di meno?

La varietà degli argomenti. Dovere e potere studiare di continuo. Mai un attimo di noia. E poi passare dall’analisi e dalle proposte all’azione. Portare il nostro lavoro sul tavolo delle istituzioni e raccogliere le loro reazioni. Siano esse positive o negative. E ripartire.

Quello che invece non mi piace affatto è quando le Istituzioni, invece di dare risposte chiare, siano esse positive o negative, replicano con un forse, o con un vediamo. Per esperienza so che queste due espressioni sono sinonimo di un bel niente da fare. Ma da consulente, cerco sempre di non lasciare nulla di intentato, e continuo a cercare di trovare una proposta che possa essere più gradita all’interlocutore. Ma è raro che questo accada. Odio quindi questo spreco di tempo ed energie.

Dal lato della committenza, quello che mi piace di meno è quando veniamo avvicinati per aprire delle porte, come dei facilitatori di incontri. Una visione riduttiva, anzi del tutto errata del nostro lavoro. Non dimenticherò mai una volta che nel corso di un incontro con un potenziale cliente venni apostrofata così: lei è l’Olivia Pope della quale abbiamo bisogno. Al momento non compresi e il colloquio andò avanti. Poi venni a sapere che Olivia Pope è la protagonista di una serie TV (Scandal) che di professione fa la fixer, aggiusta e risolve, con metodi poco ortodossi, i problemi di aziende e persone. Deprimentissimo!

Puoi raccontarci un aneddoto relativo ad una circostanza dove il tuo lavoro ha portato benefici alla tua azienda ma anche ad altri stakeholders?

Innanzitutto preferirei riformulare leggermente la domanda, modificando ‘benefici alla sua azienda’ in benefici all’azienda della quale lei è consulente. La risposta è molto semplice: qualsiasi obiettivo di policy raggiunto da un’impresa del nostro portfolio clienti è sempre a beneficio di molti. Noi non lavoriamo MAI per obiettivi commerciali aziendali, ma su proposte di politiche di quel settore che portano benefici a molti.

Ma capisco che il frainteso sia dietro l’angolo: ci capita spesso di avere questo tipo di reazione da potenziali clienti ‘ma se l’impostazione del lavoro che voi potete fare è questa, e dovesse andare in porto ne potranno usufruire anche i nostri concorrenti!’ Beh la nostra risposta è ‘APPUNTO, se sono in grado di farlo e di competere con voi, è proprio così!’

E questo se il nostro lavoro è mirato alla penetrazione di una tipologia di prodotti sul mercato, ma se come ci è capitato, si tratta di norme che escludono dal mercato prodotti ‘inquinanti’ allora il beneficio non è solo per quel settore industriale che è in grado di produrre la versione meno di impatto o ad impatto zero, ma lo è anche per tutti noi cittadini.  Ad esempio la sostituzione di una sostanza chimica, potenzialmente pericolosa, nella produzione di un giocattolo. Questo lavoro lo abbiamo fatto, e lo facciamo, all’interno della Direttiva 2009/48/CE sulla sicurezza dei giocattoli, che definisce, tra l’altro, i limiti di sicurezza per le sostanze chimiche usate nei giocattoli (ad es. cadmio, bario, nickel, bisfenolo A, formaldeide e piombo), in particolare riguardo ai bambini di età inferiore ai 3 anni e in giocattoli destinati a essere messi in bocca. Le imprese europee si sono allineate alla ‘stretta’ richiesta dalla Commissione, ma con l’assicurazione che venisse messo in piedi un processo di controllo efficace sui giocattoli importati da quei Paesi dove la Direttiva non è applicabile. 

Pensando alle tendenze future, quali saranno le principali sfide della professione a tuo parere?

La vera sfida, che però non temiamo, anzi che auspichiamo, è quella di una maggiore professionalizzazione del nostro mestiere. Non è più tempo per orecchianti, o lobbisti per caso. Il mercato ci chiede di più. Vorrei però che fosse chiaro che non siamo tuttologi. Il nostro ambito di specializzazione è quello della conoscenza del sistema politico istituzionale, non quello dei vari settori industriali. Anche il cliente deve professionalizzarsi nelle sue richieste, ed essere in grado di fornire contenuti dei quali noi faremo poi tesoro nel nostro lavoro. Oggi spesso arrivano da noi con problemi dai contorni poco chiari, se non addirittura falsati da quelle che chiamiamo le leggende dei corridoi aziendali. È giusto che ci chiedano di mettere a fuoco un tema/problema, e di capire se abbia davvero origini normative o di politiche generali e quindi se è possibile affrontarlo, ma arrivare con richieste incomprensibili no! Le faccio un esempio. Un cliente venne da noi dicendo ‘so per certo che il GSE vuole togliere i benefici fiscali per i nostri investimenti in pannelli solari che avremmo dovuto ricevere fino al 2029!’  Ma non era in grado di dirci a quali ‘benefici fiscali’ facesse riferimento. Inoltre la data del 2029 ci era sembrata assurda sin da subito. Alla fine intendeva il ‘Conto Energia’ e non c’era traccia del 2029… oltra al fatto che il GSE applica la legge, mica decide se togliere o meno gli incentivi…

Come dovrebbe essere regolamentato questo mestiere?

Dovrebbe essere regolato in maniera da lasciare fuori i cialtroni. E l’unico modo per lasciare fuori i millantatori è ottenere la totale trasparenza dei processi legislativi. ‘Sogna Catarì’ avrebbe detto mia nonna, come recitava una vecchia pubblicità. Il grande limite di tante proposte del passato e di alcune iniziative dell’ultimo decennio è quello di avere solo cercato la trasparenza dei contatti tra rappresentante delle Istituzioni e rappresentante di interessi privati. Perché la rappresentanza di interessi è vista solo come intermediazione o come facilitazione di contatti. E allora sai cosa faccio? Istituisco un bel registro! Non si ottiene altro che fare la conta di chi come noi svolge l’attività lobbistica in maniera professionale, lasciando immune da ogni rendicontazione tutti i quelli che, solo grazie a contatti personali, possono accedere al rappresentante istituzionale in altri luoghi  e non hanno alcun bisogno di iscriversi al registro. La professione potrà essere regolamentata in maniera efficace soltanto a patto che si consideri l’attività lobbistica un elemento strutturale dei processi di formazione degli atti normativi e che si scelga di normarne forme e limiti nel quadro di una disciplina organica di questi processi, nel loro svolgersi e nel loro aprirsi al contributo dei soggetti estranei alle Assemblee legislative e alla Pubblica Amministrazione. La legge dovrebbe garantire la conoscibilità di tali procedimenti, fin dalle prime fasi, in modo tale da consentire a tutti i portatori di interessi di partecipare al procedimento in condizioni di equità di accesso. Ma come assicurare trasparenza e parità di accesso in concreto? Non ho una risposta preconfezionata per questo problema, ma forse alcune delle proposte che Telos A&S ha avuto modo di condividere in audizione, nel giugno 2020,  con la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati possono essere utili a farvi comprendere il nostro punto di vista.

Che cosa consiglieresti ad un giovane che un giorno desiderasse essere al tuo posto?

Consiglierei loro di pensarci solo se nutre una vera passione per la politica, che li ha portati a seguirla sin da giovanissimi, e se conoscono le lingue, o perlomeno l’inglese, veramente bene. Queste sono le due cose che non si possono imparare in tarda età, fanno parte del proprio bagaglio culturale. Poi tutto il resto lo si può studiare (es. il diritto pubblico, i regolamenti parlamentari) o apprendere sul campo (es. il monitoraggio legislativo o la redazione di documenti di posizione). Ancor meglio apprenderlo sul campo. Tutti i tirocinanti che abbiamo avuto, anche quelli che non abbiamo confermato, ci hanno detto ‘ho imparato di più da voi in una settimana che in un anno di Master’. La nostra attività ad oggi non è una disciplina universitaria consolidata, e, ancora, non si può imparare in silico. Almeno per ora.